Questo capitolo descrive i principi generali della politica fiscale che hanno tradizionalmente guidato lo sviluppo dei sistemi tributari. Esso fornisce quindi una panoramica dei principi sottostanti al reddito delle società, concentrandosi principalmente sulla tassazione transfrontaliera del reddito sia ai sensi delle leggi nazionali e nel contesto delle convenzioni fiscali. Infine, fornisce una panoramica delle caratteristiche di progettazione di sistemi a valore aggiunto (IVA). |
2.1. Principi generali di politica fiscale
10. In un contesto in cui molti governi devono fare i conti con minori entrate, crescenti spese e conseguenti vincoli di bilancio, aumentare il gettito fiscale rimane la funzione più importante delle imposte, che servono come mezzo primario per il finanziamento delle funzioni pubbliche, come mantenimento della legge e dell’ordine e delle infrastrutture pubbliche. Supponendo che un certo livello di entrate debba accrescersi, in dipendenza di politiche economiche e fiscali più ampie del paese in questione, ci sono una serie di considerazioni generali di politica fiscale che hanno tradizionalmente guidato lo sviluppo dei sistemi fiscali. Questi includono la neutralità, l’efficienza, la certezza e la semplicità, l’efficacia e l’equità, così come la flessibilità. Nel contesto del lavoro che ha portato al rapporto “Taxation of Electronic Commerce” (si veda l’allegato A per ulteriori dettagli), questi principi generali sono stati la base per la Conferenza Ministeriale di Ottawa del 1998, e sono da allora conosciuti come “Ottawa Taxation Framework Conditions” (OECD, 2001). In quel momento, questi principi sono stati ritenuti appropriati per la valutazione delle questioni fiscali connesse al commercio elettronico. Sebbene la maggior parte dei nuovi modelli di business individuati nel capitolo 4 non esistevano ancora, a tutt’oggi, questi principi, con alcune modifica, continuano ad essere validi nell’economia digitale, come sarà discusso nel capitolo 8. Oltre a questi principi ben noti, l’equità è una considerazione importante per la progettazione di politiche fiscali.
- Neutralità: la tassazione dovrebbe essere neutrale ed equa tra le forme di attività commerciali. Una tassazione neutrale contribuirà all’efficienza assicurando che sia raggiunta l’allocazione ottimale dei mezzi di produzione. Una distorsione, e la corrispondente perdita secca in termini di gettito, si verifica quando le variazioni di prezzo provocano differenti variazioni nella domanda e nell’offerta che si verificherebbero altrimenti in assenza di tassazione. In questo senso, la neutralità comporta anche che il sistema fiscale aumenti le entrate minimizzando le discriminazioni a favore di, o contro, una particolare scelta economica. Ciò implica che gli stessi principi di tassazione dovrebbero applicarsi a tutte le forme di business, mentre affrontare casistiche specifiche potrebbero a compromettere un’equa e neutra applicazione di tali principi.
- Efficienza: costi di adempimento per le imprese e costi di amministrazione per i governi dovrebbe essere minimizzato il più possibile.
- Certezza e semplicità: la normativa fiscale dovrebbe essere chiara e semplice da comprendere, in modo che i contribuenti sappiano a cosa vanno incontro. Un sistema fiscale semplice rende più facile per individui ed imprese capire i loro obblighi e diritti. Come risultato, le imprese saranno più propense a prendere decisioni ottimali e rispondere agli intenti delle scelte politiche. La complessità, al contrario, favorisce anche la pianificazione fiscale aggressiva, che può innescare delle perdite secche per l’economia.
- Efficienza ed equità: la tassazione dovrebbe produrre la giusta quantità di imposta al momento giusto, evitando sia la doppia imposizione che la non imposizione. Inoltre, il potenziale di frode ed evasione dovrebbe essere minimizzato. Precedenti discussioni nei TAG hanno evidenziato che se c’è una classe di contribuenti che sono tecnicamente soggetti ad una tassa, ma non sono mai tenuti a pagare l’imposta a causa dell’impossibilità di riscuoterla, la platea di contribuenti può ritenere l’imposta come ingiusta e inefficace. Di conseguenza, l’applicabilità pratica delle norme fiscali è una considerazione importante per i responsabili politici. Inoltre, poiché questo influenza l’esigibilità e l’amministrabilità delle imposte, l’applicabilità è fondamentale per garantire l’efficienza del sistema fiscale.
- Flessibilità: i sistemi fiscali dovrebbero essere abbastanza flessibili e dinamici per garantire che tangano il passo con gli sviluppi tecnologici e commerciali. È importante che un sistema fiscale sia dinamico e sufficientemente flessibile per soddisfare le esigenze di gettito correnti dei governi, adattandosi al mutare delle esigenze su base continuativa. Questo significa che le caratteristiche strutturali del sistema devono essere refrattarie ai mutamenti del contesto politico, ma abbastanza flessibili e dinamici per consentire ai governi di rispondere adeguatamente per tenere il passo con gli sviluppi tecnologici e commerciali, tenendo in considerazione che i futuri sviluppi saranno spesso difficili da prevedere.
11. L’equità è anche una considerazione importante all’interno di un quadro di politica fiscale. L’equità consta di due elementi principali: equità orizzontale ed equità verticale. L’equità orizzontale suggerisce che i contribuenti in circostanze simili dovrebbero sopportare un carico fiscale simile. L’equità verticale è un concetto normativo, le cui definizioni possono differire da un utente all’altro. Secondo alcuni, suggerisce che i contribuenti in circostanze migliori dovrebbero sopportare una parte maggiore della pressione fiscale in proporzione al loro reddito. In pratica, l’interpretazione di equità verticale dipende sia dalla misura in cui i paesi vogliono ridurre le variazioni di reddito o se tale definizione dovrebbe applicarsi al reddito generato in un determinato periodo sul reddito generato in tutta la vita del contribuente. L’equità è tradizionalmente assicurata attraverso la progettazione di imposte sul reddito delle persone fisiche e di sistemi di trasferimento alle casse erariali.
12. L’equità può anche riferirsi all’equità tra paesi. Come teoria, l’equità tra paesi riguarda l’allocazione di profitti e perdite nazionali nel contesto internazionale e ha lo scopo di garantire che ogni paese riceva una quota equa delle entrate fiscali da transazioni transfrontaliere (OCSE, 2001). Il principio di politica fiscale di equità tra paesi è stato una considerazione importante nel dibattito sulla divisione della potestà impositiva tra paese della fonte e paese della residenza. Al tempo dei lavori di Ottawa sulla tassazione del commercio elettronico, questo importante preoccupazione è stata riconosciuta dall’affermazione che “qualsiasi adattamento dei principi di tassazione internazionali esistenti dovrebbero essere strutturati in modo da mantenere la sovranità fiscale dei paesi, […] per ottenere una equa ripartizione della base imponibile da commercio elettronico tra i paesi …” (OCSE, 2001: 228).
13. Le scelte di politica fiscale spesso riflettono le decisioni dei responsabili politici sulla importanza relativa di ciascuno di questi principi e riflettono anche considerazioni di politica economica e sociale al di fuori del campo fiscale.
2.2. Imposte sul reddito e imposte sui consumi
14. La maggior parte dei paesi impongono sia tasse sul reddito sia tasse sui consumi. Mentre le imposte sul reddito sono prelevate sul reddito netto (vale a dire da lavoro e capitale) per ogni periodo di imposta, le imposte sui consumi operano come un prelievo relativo al consumo di beni e servizi, imposto al momento della transazione.
15. Ci sono una varietà di forme di imposte sul reddito e sul consumo. L’imposta sul reddito è generalmente dovuta sull’utile netto realizzato dal contribuente per un periodo di imposta. Al contrario, le imposte sul consumo trovano il loro evento imponibile in una transazione, lo scambio di beni e servizi a titolo oneroso o al consumo o sulle operazioni intermedie tra imprese (IVA) (OECD, 2011), o tramite prelievi su determinati beni o servizi come le accise, i diritti doganali ed i dazi all’importazione. Le imposte sul reddito sono prelevate nel luogo di fonte di reddito mentre le imposte sui consumi sono prelevate nel luogo di destinazione (ossia il paese importatore).
16. E’ anche interessante notare che la pressione fiscale non è sempre a carico di coloro che sono legalmente tenuti a pagare la tassa. A seconda dell’elasticità dei prezzi dei fattori di produzione (che a sua volta dipende dalle preferenze dei consumatori, dalla mobilità dei fattori di produzione, dal grado di concorrenza, ecc), la pressione fiscale può essere spostata e quindi le entrate e le imposte sul consumo possono avere un’incidenza fiscale simile. In generale, si dice che l’incidenza fiscale ricade su di capitale, lavoro e/o consumi. Ad esempio, se il capitale fosse più mobile rispetto del lavoro ed il mercato altamente competitivo e ben funzionante, la maggior parte degli oneri fiscali sarebbero a carico dei lavoratori.
2.3. Imposta sul reddito delle società
17. Anche se la base imponibile può essere definita in una grande varietà di modi, la CIT si applica generalmente su una base imponibile ampia, formulata per comprendere tutti i tipi di reddito prodotti dalla società indipendentemente dalla loro natura[1], che comprende anche il rendimento normale del capitale proprio in aggiunta a quello che può essere descritto come “rendimento puro” o “rendimento economiche”, cioè quello che l’impresa ritrae da particolari vantaggi competitivi che possono essere correlati a fattori di produzione vantaggiosi (quali le risorse naturali facilmente sfruttabili o il basso costo del lavoro) o vantaggi legati al mercato nel quale verranno venduti i prodotti (ad esempio una posizione di monopolio).
18. Al momento in cui stati introdotti i sistemi di CIT, uno dei loro obiettivi principali era quello di agissero come pagamento anticipato delle imposte personali dovute dagli azionisti (avessero cioè una funzione “riempitiva” nota anche come “giustificazione del differimento”, Bird, 2002), impedendo così il potenziale differimento a tempo indeterminato del reddito personale (Vann, 2010). Di conseguenza, la base imponibile era vista come indicatore del ritorno sul capitale proprio. Ne consegue che le CIT sono generalmente imposte sui profitti netti, vale a dire sulla differenza tra ricavi e costi. Due modelli di base, diversi nella loro approccio, ma simili nella loro applicazione pratica, sono utilizzati per valutare questo reddito imponibile:
- il sistema a ricavi e costi (o metodo del profit and loss): l’utile netto è determinato come differenza tra tutti i redditi dichiarati da una società nel periodo d’imposta e tutti i costi deducibili sostenuti dalla società nello stesso periodo d’imposta.
- il sistema a chiusura del bilancio (o metodo del net-worth comparison): l’utile netto è determinato confrontando il valore delle attività nette nel bilancio della società al termine del periodo d’imposta (più i dividendi distribuiti) con il valore delle attività nette nel bilancio della società, all’inizio del periodo d’imposta.
19. Alcuni paesi hanno raggiunto una sostanziale uniformità, ad eccezione di alcuni casi in cui il trattamento contabile può essere vulnerabile a manipolazioni destinate a distorcere la misura del reddito imponibile (per esempio la negazione della deduzione di alcune spese, diversi metodi di rappresentazione delle spese in conto capitale, diversa tempistica nel riconoscimento degli utili su alcune immobilizzazioni). In aggiunta, i sistemi fiscali e contabili nazionali sono sostanzialmente indipendenti, con disposizioni di legge fiscale che affrontano in larga misura il trattamento delle operazioni effettuate da una società.
2.3.1. La tassazione dei redditi transfrontalieri nelle legislazione nazionali
20. E’ comunemente accettato che esistono due aspetti della sovranità di uno stato: la potestà territoriale (“giurisdizione territoriale”) e la potestà su un particolare insieme di soggetti (“giurisdizione politica”). Questa natura binaria della sovranità era fortemente radicata nell’immaginario collettivo durante il 19esimo ed il 20esimo secolo ed ha esercitato una significativa influenza nel modellamento dei sistemi fiscali nazionali. Consapevoli che le tasse dovevano essere confinate ai soggetti passivi e agli oggetti che avevano una sorta di connessione con lo Stato impositore, i politici giunsero alla conclusione che una legittima richiesta fiscale doveva essere basata sia su una relazione personale (cioè un “attaccamento personale”) o su una relazione territoriale (vale a dire un “attaccamento territoriale”) (Schon, 2010; Beale, 1935).
21. Lungo la stessa direttrice, la duplice natura della sovranità ha contribuito alla formulazione della dottrina realistica, che si basa sulla considerazione per cui l’applicazione, l’amministrazione e la riscossione delle imposte limitavano la nozione tradizionale di sovranità (Tadmore, 2007). Mentre il diritto di uno Stato di riscuotere le imposte sul reddito si basava sul territorio o sulla residenza, la dottrina realistica ipotizzava che senza il potere di tassare, non v’è alcun diritto di tassare si basava sulla considerazione che l’esercizio della potestà impositiva da parte dello Stato dovesse essere efficace (Tadmore, 2007). Nell’ambito della dottrina realistica, viene fatta una distinzione tra il diritto di imporre tasse e la capacità di riscuoterle efficacemente, chiamata anche “giurisdizione di applicazione” (Hellerstein, 2009) e l’accento è posto sulla praticità più che sulla teoria.
22. Le norme fiscali nazionali per la tassazione dei redditi transfrontalieri generalmente affrontano due situazioni: la tassazione degli investimenti in uscita di società residenti, e la tassazione degli investimenti in entrata delle società non residenti. Per quanto riguarda la prima categoria, la definizione di residenza è un concetto chiave. Alcuni paesi determinano la residenza di una società sulla base di criteri formali come il luogo di costituzione. In altri paesi, la residenza di una società è determinata da criteri fattuali di riferimento quali il luogo di direzione effettiva o concetti simili. Alcuni paesi hanno sistemi misti, in cui vi è sia un test sul luogo di costituzione, sia un test sul luogo di direzione effettiva.
23. Per quanto riguarda la tassazione degli investimenti in uscita di società residenti, due grandi modelli possono essere identificati: il sistema worldwide ed il sistema territorial. Si noti che queste categorie sono delle semplificazioni, in quanto la maggior parte dei paesi, in pratica, applica una combinazione di entrambi i sistemi.
24. Un paese che utilizza il sistema worldwide impone ai suoi residenti un’imposta sul loro reddito globale derivante da fonti ovunque localizzate. Al fine di attuare il principio della residenza, l’amministrazione fiscale del paese di residenza deve raccogliere informazioni per quanto riguarda il reddito di fonte straniera dei loro residenti. Di conseguenza, i paesi raramente, se non mai, adottano sistemi worldwide puri. Al contrario, nella maggior parte di questi sistemi, i profitti di origine estera delle controllate estere sono tassate al momento del rimpatrio (c.d. sistema di differimento), e non secondo il principio di competenza. Inoltre, il credito per l’imposta pagata sui profitti generati all’estero è di solito limitata alla quantità di imposte che sarebbero state applicate dallo stato di residenza, garantendo in tal modo che il sistema worldwide non possa inficiare il diritto di tassazione dello Stato di residenza sulle proprie fonti di reddito interne.
25. Un paese che applica un sistema CIT territoriale sottopone i suoi residenti ad imposta solo sui redditi derivanti da fonti situate nel suo territorio. Questo significa che le società residenti sono tassati solo sul loro reddito locale – vale a dire il reddito di fonte domestica. Determinare la fonte del reddito d’impresa è quindi fondamentale in un sistema territoriale.
26. Per quanto riguarda la tassazione degli investimenti in entrata delle società non residenti, sia un sistema worldwide che un sistema territorial impongono la tassazione sui redditi derivanti da fonti domestiche. Quindi, la determinazione della fonte del reddito è un aspetto chiave. Le regole sulle fonti di reddito variano da paese a paese. Per quanto riguarda il reddito d’impresa, il concetto di fonte nel diritto interno è spesso parallelo al concetto di SO, come definito ai sensi trattati fiscali. Tale reddito è tassato in genere su base netta. Per ragioni pratiche, tuttavia, può essere difficile per un paese di tassare taluni redditi derivanti da società non residenti. Può anche essere difficile sapere quali spese ha sostenuto il non residente per realizzare tali redditi. Di conseguenza, la tassazione alla fonte di alcuni tipi di reddito (ad esempio interessi, royalties, dividendi) derivanti da società non residenti si verifica comunemente attraverso l’applicazione di una WT a titolo di imposta (applicata con un’aliquota lorda). Per tener conto del fatto che non sono consentite deduzioni, le aliquote lorde a base delle WT sono solitamente inferiori alle aliquote CIT standard.
Box 2.1. Normative sulle Società Controllate Estere (CFC) Le normative sulle CFC prevedono la tassazione degli utili derivanti da società non residenti per trasparenza nel reddito dei loro soci residenti. Essi possono essere considerati come una categoria di norme anti-evasione, o di ampliamento della base imponibile, progettate per tassare gli azionisti sul reddito passivo o molto mobile derivato da società non residenti in circostanze in cui, in assenza di tali norme, tale reddito sarebbe stato altrimenti esente da tassazione (ad esempio nell’ambito di un sistema territoriale) oppure tassato solo al momento del rimpatrio (per esempio, con un sistema fiscale worldwide con un regime di differimento). Le regole CFC variano sostanzialmente negli approcci. In alcuni casi, cercano di ridurre l’incentivo fiscale ad intraprendere affari o investimenti attraverso una società non residente. Ma possono anche includere disposizioni (come l’esclusione di reddito attivo) destinate a garantire che alcuni tipi di investimento in una giurisdizione estera da parte di residenti del paese di applicazione del regime CFC non saranno soggetti ad alcun maggiore onere fiscale complessivo rispetto agli investimenti nella stessa giurisdizione estera da parte di azionisti non residenti. La maggior parte dei sistemi di regole CFC hanno il carattere di norme anti-evasione che intercettano redditi segregati, e non intendono scoraggiare gli investimenti esteri genuini. Le regole CFC richiedono che alcuni, o tutti gli, utili della società estera siano inclusi nel reddito del socio residente, e quindi possono anche avere l’effetto di proteggere la base imponibile del paese di origine scoraggiando gli investimenti che erodono la sua base imponibile o che sono progettati per spostare profitti verso Paesi a fiscalità privilegiata. |
2.3.2. La tassazione dei redditi transfrontalieri nei trattati contro la doppia imposizione
27. L’esercizio della sovranità fiscale può comportare rivendicazioni conflittuali tra due o più giurisdizioni sulla stessa base imponibile, che possono portare a casi di doppia imposizione giuridica, che è l’imposizione di imposte similari in due (o più) stati sullo stesso soggetto passivo e sullo stesso reddito. La doppia imposizione ha effetti dannosi sugli scambi internazionali di beni e servizi e sui movimenti transfrontalieri di capitali, tecnologia e persone. Le convenzioni fiscali bilaterali affrontano i casi di doppia imposizione ripartendo il diritto alla tassazione sugli stati contraenti. La maggior parte delle convenzioni fiscali bilaterali esistenti sono concluse in base ad un modello, come ad esempio il modello di convenzione fiscale dell’OCSE o il modello di convenzione fiscale dell’ONU, che sono i diretti discendenti del primo modello di trattato fiscale bilaterale redatto nel 1928 dalla Società delle Nazioni. Di conseguenza, sebbene ci possano essere variazioni sostanziali tra un trattato fiscale e l’altro, tutti i trattati contro le doppie imposizioni seguono in linea di principio una struttura relativamente uniforme, che può essere vista come un elenco di disposizioni che assolvono a funzioni distinte e separate: (i) disposizioni che delimitano l’ambito e l’applicazione del trattato fiscale, (ii) disposizioni che affrontano i conflitti di giurisdizione, (iii) disposizioni che limitano la doppia imposizione, (iv) disposizioni per prevenire l’evasione e l’elusione fiscale, e (v) disposizioni che affrontano questioni varie (ad esempio l’assistenza amministrativa).
2.3.2.1. Una panoramica storica della basi concettuali per l’assegnazione dei diritti di tassazione
28. Dato che il commercio mondiale è aumentato nei primi anni del 20esimo secolo, e le preoccupazioni intorno casi di doppia imposizione fiscale sono cresciute, la Società delle Nazioni, nei primi anni ‘20, ha nominato quattro economisti (Bruins e altri., 1923) per studiare la questione della doppia imposizione da un punto di vista teorico e scientifico. Uno dei compiti del gruppo è stato quello di determinare se fosse possibile formulare principi generali come base di un quadro fiscale internazionale in grado di prevenire la doppia imposizione, anche in relazione ai profitti delle imprese[2]. In questo contesto, il gruppo ha identificato il concetto di fedeltà economica come base per la progettazione di tale quadro fiscale internazionale. La fedeltà economica si basa su fattori volti a misurare l’esistenza e l’entità dei rapporti economici tra un particolare stato e i redditi e le persone soggette alla sua potestà impositiva.. I quattro economisti identificarono quattro fattori della fedeltà economica, vale a dire (i) l’origine della ricchezza o del reddito, (ii) il luogo della ricchezza o del reddito, (iii) l’applicazione dei diritti di imposizione alla ricchezza o al reddito, e (iv) il luogo di residenza o di domicilio dell’avente diritto di disporre della ricchezza o del reddito.
29. Tra questi fattori, gli economisti hanno concluso che, in generale, il peso maggiore dovrebbe essere dato “all’origine della ricchezza [vale a dire la fonte della ricchezza] e la residenza o il domicilio della persona che consuma la ricchezza”. L’origine della ricchezza è stata definito per questi scopi come tutte le fasi coinvolte nella creazione di ricchezza: “l’aspetto fisico originale della ricchezza, i suoi successivi adattamenti fisici, il suo trasporto, la sua direzione e la sua vendita”. In altre parole, il gruppo ha sostenuto che la giurisdizione fiscale dovrebbe generalmente essere ripartita tra lo stato di origine e lo stato di residenza a seconda della natura del reddito in questione. Secondo questo approccio, in situazioni semplici dove tutti i (o la maggioranza dei) fattori di fedeltà economica coincidono, la potestà impositiva dovrebbe andare esclusivamente allo stato in cui i relativi elementi di fedeltà economica sono stati qualificati. In situazioni più complesse, in cui si presentano conflitti tra i fattori rilevanti della fedeltà economica, la potestà impositiva andrebbe ripartita tra i diversi stati sulla base dei relativi legami economici che il contribuente ed il suo reddito hanno con ciascuno di essi.
30. Sulla base di questa premessa, il gruppo ha considerato appropriati luoghi di imposizione dei diversi tipi di ricchezza o reddito. Gli utili delle imprese non sono stati trattati separatamente, ma sono stati considerati secondo specifiche classi di imprese che svolgevano attività al giorno d’oggi in generale classificate come imprese immobiliari (c.d. “bricks and mortar business”), imprese petrolifere (c.d. “mines and oil wells business”), imprese industriali (c.d. “industrial establishments” o “factories”) e imprese commerciali (c.d. “commercial establishments”)[3]. nei confronti di tutti queste classi di attività, il gruppo giunse alla conclusione che il luogo in cui il reddito è stato prodotto è “di peso preponderante” e “in una divisione ideale, una quota preponderante dovrebbe essere assegnata al luogo di origine”. In altre parole, nella ripartizione della potestà impositiva sugli utili delle imprese, maggiore importanza è stata legata al nesso tra il reddito d’impresa e i vari luoghi fisici che contribuiscono alla produzione del reddito stesso.
31. Molte delle conclusioni della relazione dimostrarono di essere controverse e non sono state del tutto riprese nelle convenzioni fiscali sulla doppia imposizione. In particolare, la preferenza degli economisti per una generale esenzione nello stato della fonte per tutti “reddito prodotti all’estero”, come un metodo pratico per evitare la doppia tassazione[4], è stata esplicitamente respinta dalla Lega delle Nazioni, che ha scelto come struttura di base per il suo modello di convenzione del 1928 il metodo della “classificazione e l’assegnazione delle fonti” – vale a dire collegare la tassazione totale o limitata alla fonte di alcune classi di reddito e assegnare il diritto di tassare gli altri proventi esclusivamente allo Stato di residenza. Tuttavia, il panorama teorico enunciato nel Rapporto del 1923 è sopravvissuto straordinariamente intatto ed è generalmente considerato come la “base intellettuale” (Ault, 1992: 567) da cui i vari modelli della Lega delle Nazioni (e di conseguenza praticamente tutti i moderni trattati fiscali bilaterali) sono stati sviluppati (Avi-Yonah, 1996).
32. Prima di avallare il principio di fedeltà economica, il gruppo di quattro economisti ha brevemente discusso altre teorie di tassazione, incluso il principio del beneficio (chiamato a quel tempo “teoria dello scambio”), e ha osservato che le risposte formulate da questa dottrina sarebbero state in gran parte soppiantate dalla teoria della “capacità di pagare”. Diversi autori ritengono che il declino della teoria del beneficio fosse innegabile considerando la determinazione dell’importo della tassa, ma non nel dibattito potestà impositiva in un contesto internazionale (Vogel, 1988). Secondo la teoria del beneficio, la potestà impositiva di una giurisdizione si basa sulla totalità delle prestazioni e dei servizi statali forniti ai contribuenti che interagiscono con un paese (Pinto, 2006), e le società, in qualità di agenti integrati nella vita economica di un determinato paese, dovrebbero contribuire alla spesa pubblica di quel paese. In altre parole, la teoria del beneficio prevede che uno stato abbia il diritto di tassare soggetti residenti e non residenti se essi traggono un beneficio dei servizi che lo stato stesso fornisce. Questi benefici possono essere specifici o di natura generale. L’offerta di istruzione, di forze di polizia, pompieri e difesa sono tra gli esempi più evidenti. Ma lo stato può anche fornire strutture giuridiche favorevoli ed operative per il corretto funzionamento degli affari, per esempio sotto forma di un quadro giuridico e normativo stabile, la tutela della proprietà intellettuale e del capitale di conoscenze della società, l’applicazione delle leggi a tutela dei consumatori, o infrastrutture di trasporti, telecomunicazioni, utility e altre ben sviluppate (Pinto, 2006).
2.3.2.2. Assegnazione della potestà impositiva nei trattati fiscali
33. Nel momento in cui i quattro economisti presentarono il loro rapporto, varie giurisdizioni avevano già iniziato ad affrontare la doppia imposizione giuridica attraverso provvedimenti bilaterali e/o unilaterali. I comitati fiscali della Società delle Nazioni vi apportarono modifiche basate sull’esperienza pratica di esperti governativi nella negoziazione e nella gestione dei trattati contemporanei. In parte come risultato del percorso storico, ed in parte dovuto alla necessità di allocare in modo efficace la potestà impositiva tra i sistemi fiscali che potevano divergere in modo significativo, il problema della doppia imposizione non è stato affrontato da un sistema alternativo come formule di ripartizione, o un altro sistema basato sui principi individuati dai quattro economisti. Al contrario, e sostenuto dallo sviluppo dei trattati basati sul modello OCSE e ONU, il quadro fiscale internazionale si è sviluppato intorno ad una vasta rete di trattati fiscali bilaterali a seguito della metodo c.d. della “classificazione e assegnazione di fonti”, in cui diversi tipi di reddito sono soggetti a diverse regole distributive della potestà impositiva. Questa natura cedolare di regole distributive comporta una fase preliminare, nella quale il reddito soggetto a rivendicazioni contrastanti viene prima classificato in una delle categorie di reddito definite dal trattato. Quando un elemento di reddito rientra in più di una categoria di reddito, i trattati contro la doppia imposizione risolvono il conflitto attraverso l’ordinamento delle regole. Una volta che il reddito si qualifica per gli scopi del trattato, il trattato prevede regole distributive che in genere concedono ad uno Stato contraente il diritto esclusivo di esercitare la propria potestà impositiva o concedono una priorità ad uno Stato contraente ad esercitare la propria potestà impositiva, riservando il diritto ad una tassazione residua all’altro Stato contraente.
34. Le norme dei trattati prevedono che gli utili aziendali realizzati da un’impresa sono imponibili esclusivamente dallo Stato di residenza a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato attraverso una SO ivi situata. In quest’ultima situazione, lo stato della fonte può tassare solo gli utili che sono attribuibili alla SO. Il concetto di SO è quindi utilizzato per determinare se uno Stato contraente ha il diritto di esercitare la propria potestà impositiva rispetto agli utili d’impresa di un contribuente non residente. Si applicano regole speciali, tuttavia, per i profitti che ricadono in certe categorie di reddito, come i dividendi, gli interessi, le royalties, e le plusvalenze (ossia i capital gains).
35. Il concetto di SO agisce efficacemente come una soglia che, misurando il livello di presenza economica di un’impresa straniera in un determinato Stato mediante criteri oggettivi, determina le circostanze in cui l’impresa straniera può essere considerata sufficientemente integrata nell’economia di uno stato per giustificare la tassazione in quello stato (Holmes, 2007; Rohatgi, 2005). Un collegamento può quindi ragionevolmente essere fatto tra l’esigenza di un sufficiente livello di presenza economica sotto la soglia di SO esistente e i fattori economici di fedeltà sviluppati dal gruppo di economisti più di 80 anni fa. Questa eredità è regolarmente sottolineata nella letteratura (Skaar, 1991), così come risulta dal vigente Commentario OCSE quando si afferma che la soglia della SO “ha una lunga storia e riflette il consenso internazionale sul fatto che, come regola generale, finché un’impresa di uno Stato ha una SO in un altro Stato, non dovrebbe propriamente essere considerata come partecipante alla vita economica di detto altro Stato a tal punto che l’altro Stato dovrebbe avere potestà impositiva sui suoi profitti”[5]. Richiedendo un livello sufficiente di presenza economica, questa soglia è destinato anche a garantire che il paese della fonte possa applicare l’imposizione fiscale ed abbia la capacità amministrativa necessaria per far rispettare questa potestà impositiva.
36. La definizione di SO inizialmente comprendeva due soglie distinte: (i) una sede fissa attraverso cui l’attività dell’impresa era interamente o parzialmente esercitata oppure, se questa sede non esisteva, (ii) una persona che agiva per conto dell’impresa estera e abitualmente esercitava il potere di concludere contratti in nome dell’impresa estera. In entrambe le situazioni un certo livello di presenza fisica nella giurisdizione della fonte veniva richiesto, sia direttamente sia attraverso le azioni di un agente dipendente. Alcune estensioni sono state fatte nel corso del tempo per affrontare i cambiamenti nelle condizioni di business. Ad esempio, lo sviluppo dell’industria dei servizi ha portato all’inserimento in molti trattati bilaterali esistenti di una soglia ulteriore per cui la prestazione di servizi da parte dei dipendenti (o altre persone che ricevono le istruzioni) di un’impresa non residente possono giustificare la tassazione nel paese della fonte, non appena la durata di tali servizi supera un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal fatto che i servizi vengano eseguiti attraverso una sede fissa di affari (Alessi, Wijnen e de Goede, 2011).
37. Le norme dei trattati sugli utili delle imprese prevedono che solo i profitti “attribuibili” alla SO sono imponibili nella giurisdizione in cui si trova la SO. Questi sono i profitti che la SO ritrarrebbe (o ci si aspetterebbe che ritragga) dalla sua attività se si trattasse di un’impresa distinta e separata.
38. In virtù di regole distributive distinte che hanno la priorità sulla regola della SO, alcuni elementi specifici di reddito sono imponibili nella giurisdizione della fonte, anche se nessuna delle soglie alternative di SO sono soddisfatte in quel paese. Questi includono:
- redditi derivanti da beni immobili (e le plusvalenze derivanti dalla vendita degli stessi), che in genere possono essere tassati dal paese in cui il bene immobile si trova.
- utili delle imprese che includono alcuni tipi di pagamenti che, a seconda dei trattati, possono includere dividendi, interessi, royalties o commissioni tecniche, su cui il trattato consente al paese della fonte di imporre una WT limitata.
39. Nel caso di pagamenti in uscita di dividendi, interessi e royalties, comunemente i paesi impongono una ritenuta ai sensi della legislazione nazionale su base lorda (cioè non ridotta per effetto della deduzione di spese) per mezzo di una WT alla fonte. Le convenzioni fiscali bilaterali comunemente specificano un’aliquota massima con cui lo stato della fonte può imporre tale WT, con il diritto di tassazione residuo in capo allo stato di residenza[6]. Tuttavia, se il bene che dà origine a tali tipi di reddito è effettivamente collegato ad una SO dell’impresa non residente, prevalgono le regole per l’attribuzione degli utili ad una SO (articolo 10 (4), 11 (4) e 12 (3) della modello di convenzione fiscale dell’OCSE).
40. Se dalle convenzioni fiscali bilaterali la priorità è data al paese della fonte, lo Stato di residenza deve limitare la doppia imposizione. Due meccanismi sono generalmente disponibili nei trattati fiscali bilaterali, ossia il metodo dell’esenzione ed il metodo del credito d’imposta. Ma in pratica molte giurisdizioni, e di conseguenza le convenzioni fiscali bilaterali esistenti, utilizzano una miscela di questi approcci – come ad esempio il metodo di esenzione per i redditi attribuibili ad una SO (c.d. “branch exemption method”), ed il metodo del credito di imposta per gli elementi di reddito soggetti a una WT – in relazione agli utili delle imprese (Rohatgi, 2005).
2.4. Imposte sul valore aggiunto ed altre imposte indirette sui consumi
41. Le imposte sul valore aggiunto (IVA) e le altre imposte sui consumi sono generalmente progettate per essere imposte indirette. Benchè siano generalmente tese a tassare il consumo finale dei beni e dei servizi, esse sono riscosse dai fornitori di tali beni e servizi, piuttosto che direttamente da parte dei consumatori. I consumatori sopportano il peso di queste tasse, in linea di principio, come parte del prezzo di mercato dei beni o dei servizi acquistati.
Si distinguono generalmente due categorie di imposte sui consumi (OECD, 2013):
- le imposte generali su beni e servizi, che consistono nell’IVA, e nei suoi equivalenti nelle diverse giurisdizioni, imposte sulle vendite e altre imposte generali su beni e servizi.
- le imposte su beni e servizi specifici, costituiti principalmente da accise, diritti doganali e dazi all’importazione e tasse su servizi specifici (ad esempio le imposte sui premi assicurativi e sui servizi finanziari).
43. Questa sezione si concentra principalmente sull’IVA, che è la forma principale di imposta sui consumi per i paesi di tutto il mondo. La combinazione della diffusione globale dell’IVA e la rapida globalizzazione delle attività economiche, che ha determinato una maggiore interazione tra i sistemi IVA e ha incrementato le aliquote IVA (OECD, 2012) hanno sollevato il profilo dell’IVA come problema significativo nel commercio transfrontaliero.
2.4.1. I principali elementi strutturali di una imposta sul valore aggiunto
2.4.1.1. Scopo generale di un imposta sul valore aggiunto – Una tassa su vasta scala sui consumi finali
44. Il termine IVA è qui utilizzato per indicare tutte le imposte sul valore aggiunto, con qualsiasi nome e in qualunque lingua siano conosciuti. Si noti, per esempio, che molti paesi si riferiscono alla loro IVA come “tassa sui beni e sui servizi” (GST) (ad esempio Australia, Canada, India, Nuova Zelanda e Singapore). Mentre non v’è una notevole diversità nella struttura dell’IVA nei sistemi attualmente in vigore, la maggior parte di questi sistemi si fondano su taluni fondamentali principi di progettazione che saranno descritti in questa sezione, almeno in teoria, se non in pratica. Lo scopo generale di una IVA è imporre su larga scala una tassa sul consumo, inteso come consumo finale delle famiglie.
45. In linea di principio solo le persone fisiche, in quanto distinte delle imprese, possono porre in essere il consumo a cui si rivolge l’IVA. In pratica, tuttavia, molti sistemi IVA impongono l’onere dell’IVA non solo sui consumi finali delle famiglie, ma anche alle varie entità che sono coinvolte in attività non commerciali o in attività esenti da IVA. In tali situazioni, l’IVA può essere vista alternativamente come trattamento di tali entità come se fossero consumatori finali, o come “imposta di ingresso” delle forniture effettuate da tali soggetti sulla presunzione che l’onere dell’IVA sarà incluso nei prezzi di vendita di tali attività non commerciali.
2.4.1.2. La caratteristica principale nella progettazione di una IVA – Il processo di riscossione multifase
46. La caratteristica principale della progettazione di un sistema IVA, e la caratteristica da cui deriva il suo nome, è che l’imposta viene riscossa attraverso un processo graduale. Ogni soggetto passivo nella filiera è responsabile della riscossione dell’imposta sulle sue vendite e contribuisce in proporzione all’imposta corrispondente al suo margine, cioè il valore aggiunto, in un determinato periodo d’imposta. Questo significa che il soggetto passivo versa all’erario del suo stato di residenza la differenza tra l’IVA imposta sulle sue vendite (imposta a valle) e l’IVA imposta sui suoi acquisti (imposta a monte) per questo periodo d’imposta. Così, l’imposta è, in linea di principio, riscossa sul “valore aggiunto” in ogni fase di produzione e distribuzione. A questo proposito, l’IVA si differenzia dall’imposta sulle vendite al dettaglio, in quanto queste ultime vengono attuate attraverso un prelievo monostadio imposto, in teoria, solo al punto vendita finale.
47. Questa caratteristica centrale di progettazione dell’IVA, accoppiata col principio fondamentale che l’onere della tassa non deve ricadere sulle imprese, richiede un meccanismo per sollevare le imprese dall’onere dell’IVA che pagano quando acquistano beni o servizi. Ci sono due approcci principali per attuare il processo di riscossione graduale e nel contempo sollevare le aziende dall’onere dell’IVA. Con il metodo “fattura-credito”, ogni soggetto passivo ricarica l’IVA all’aliquota prevista dalla sua giurisdizione per ciascuna fornitura e invia al cliente una fattura che mostra l’importo dell’imposta addebitata. Se anche il cliente è un soggetto passivo, potrà detrarre l’imposta pagata a monte dall’imposta che ricaricherà sulle vendite, identificata a livello di transazione, versando all’erario del suo stato di residenza il saldo o richiedendo il rimborso di eventuali crediti in eccesso. Con il metodo della “sottrazione”, l’imposta è riscossa direttamente su una misura del valore aggiunto calcolata contabilmente, determinata per ogni impresa sottraendo le spese ammissibili del soggetto passivo in un periodo d’imposta dalle operazioni imponibili per lo stesso periodo ed applicando all’importo risultante l’aliquota fiscale prevista (Cockfield e altri., 2013). Quasi tutte le giurisdizioni che utilizzano un sistema IVA si basano sul metodo della “fattura-credito”, il sistema giapponese è l’esempio più lampante di un sistema IVA con il metodo della sottrazione.
48. Le esenzioni IVA creano un’importante eccezione alla neutralità dell’IVA. Quando una fornitura è esente da IVA, questo significa che nessuna imposta è addebitata alla vendita e che il compratore non ha il diritto di accreditare la relativa imposta a monte. Molti sistemi IVA applicano esenzioni per attività che sono difficili da tassare (l’esenzione per i servizi finanziari è l’esempio più lampante) e/o per perseguire obiettivi distributivi (le esenzioni per il settore agricolo, per i carburanti, per la sanità e l’istruzione sono esenzioni che si incontrano comunemente). Una conseguenza negativa delle esenzioni IVA è che esse creano un effetto “a cascata”, quando sono applicate in un contesto B2B. Ci si aspetta che l’impresa che effettua una prestazione esente ricarichi il prezzo di vendita per un importo pari all’imposta non detraibile dal cliente, mentre questa “imposta nascosta” non può successivamente essere riaddebitata dal destinatario ai propri clienti.
2.4.2. IVA sulle transazioni transfrontaliere – Il principio della destinazione
49. La questione politica fondamentale in relazione all’applicazione internazionale dell’IVA è se il prelievo dovrebbe essere imposto dalla giurisdizione di origine o dalla giurisdizione di destinazione. In virtù del principio di destinazione, l’imposta è, in ultima analisi, applicata solo nella giurisdizione in cui si verifica il consumo finale. In base al principio di origine, l’imposta è riscossa nelle diverse giurisdizioni in cui è stato aggiunto il valore.
50. In base al principio di destinazione, nessuna IVA viene riscossa sulle esportazioni e l’imposta a monte associata alle esportazioni viene rimborsata all’impresa (queste operazioni sono spesso chiamate “non imponibili” o ad “aliquota zero”), mentre le importazioni sono tassate sulla stessa base e alle stesse aliquote delle forniture domestiche. Di conseguenza, le imposte relative alla fornitura sono determinate dalle regole applicabili nella giurisdizione di destinazione e la riscossione di dette imposte compete alla giurisdizione dove si verifica il consumo finale della fornitura. L’applicazione del principio della destinazione realizza la neutralità dell’IVA nel commercio internazionale, in quanto non v’è alcun vantaggio dall’acquistare da una giurisdizione a bassa o nulla tassazione, né aliquote IVA più alte o più basse distorcono il livello o la composizione delle esportazioni di un paese.
51. Al contrario, in base al principio di origine, ogni giurisdizione dovrebbe riscuotere l’IVA sul valore creato all’interno dei propri confini. In questo regime, la giurisdizione che esporta dovrebbe tassare le esportazioni sulla stessa base e con le stesse aliquote delle forniture interne, mentre la giurisdizione che importa dovrebbe riconoscere un credito a fronte dell’ipotetica IVA per che sarebbe stata pagata nella propria giurisdizione. Questo approccio è in contrasto con le funzionalità di base di una tassa sul consumo, in cui il gettito dovrebbe derivare alla giurisdizione nella quale si svolge il consumo finale. In virtù del principio di origine, il gettito viene condiviso tra le giurisdizioni in cui viene aggiunto valore. Imponendo imposte ad aliquote diverse nelle giurisdizioni in cui si aggiunge il valore, il principio dell’origine potrebbe influenzare lo sviluppo economico o la struttura geografica della catena del valore e minare la neutralità nel commercio internazionale.
52. Per queste ragioni, esiste un consenso diffuso che il principio di destinazione, in cui il gettito fiscale è riscosso dal paese in cui si verifica il consumo finale, è preferibile al principio dell’origine sia da un punto di vista teorico che pratico. Infatti, il principio della destinazione è lo standard internazionale sancito WTO. La nota 1 del “WTO Agreement on Subsidies and Countervailing Measures” (c.d. “accordo sulle sovvenzioni e sulle misure compensative”) stabilisce che “…l’esenzione di un prodotto esportato dai dazi o imposte che graverebbero su un prodotto simile destinato al consumo interno, ovvero il rimborso di tali dazi o tasse per importi non superiori a quelli che sarebbero maturati, non deve essere considerato una sovvenzione.”
2.4.3. Attuazione del principio della destinazione
53. Mentre il principio di destinazione è stato ampiamente accettato come base per l’applicazione dell’IVA nel commercio internazionale, la sua attuazione è tuttavia diversa tra le giurisdizioni. Questo può portare a una doppia imposizione o ad una involontaria non imposizione e alla complessità ed incertezza per le imprese e le amministrazioni fiscali. Al fine di applicare il principio di destinazione, i sistemi IVA devono avere un meccanismo per identificare la destinazione delle forniture. Poiché l’IVA è generalmente applicata a livello di transazione, i sistemi IVA contengono norme sul “luogo di imposizione” che affrontino tutti i tipi di transazioni, basandosi sul concetto di “indicatore di prossimità”, che indica il luogo dove si prevede che il bene o servizio fornito sia utilizzato da un’impresa nel processo produttivo o distributivo (se la fornitura è effettuata ad un’impresa) o consumato (se la fornitura è effettuata ad un consumatore finale).
54. I paragrafi seguenti forniscono una breve panoramica dei meccanismi di identificazione della destinazione di una fornitura, con riguardo prima alle forniture di beni e successivamente alle prestazioni di servizi.
2.4.3.1. Attuazione del principio della destinazione – Beni
55. Il termine “beni” in genere significa “bene materiale” ai fini IVA. Il trattamento IVA delle cessioni di beni normalmente dipende dalla posizione della merce al momento della transazione e/o la loro ubicazione come risultato della transazione. La fornitura di un bene è in linea di principio soggetta ad IVA nella giurisdizione in cui il bene si trova al momento della transazione. Quando una transazione coinvolge merci spostate da una giurisdizione all’altra, le merci esportate sono generalmente libere dall’IVA nella giurisdizione del venditore (e vengono liberati di qualsiasi IVA assolta a monte tramite deduzioni di imposta pagata a monte dalle successive imprese), mentre le importazioni sono soggette allo stesso regime IVA dei prodotti nazionali equivalenti nella giurisdizione dell’acquirente. L’IVA su importazioni viene generalmente incassata dall’importatore insieme ai dazi doganali, prima che le merci sono rilasciate dal controllo doganale, anche se in alcune giurisdizioni la riscossione è alla successiva dichiarazione IVA dell’importatore. Permettere la detrazione dell’IVA sostenuta all’importazione allo stesso modo della detrazione su una fornitura domestica assicura la neutralità e limita le distorsioni in materia di commercio internazionale.
56. Molti sistemi IVA applicano un’esenzione per l’importazione di merce con valore relativamente basso. Tale esenzione è generalmente motivata dalla considerazione per cui i costi di amministrazione per il sistema doganale per gestire questi oggetti con scarso valore potrebbero superare le entrate che tale gestione comporterebbe. Se questi costi supplementari fossero trasferiti ai consumatori, il costo di acquisto risulterebbe sproporzionatamente elevato rispetto al valore della merce. La maggior parte dei paesi dell’OCSE si applicano tali disposizioni, con soglie molto diverse da paese a paese.
2.4.3.2. Attuazione del principio della destinazione – Servizi
57. La legislazione sull’IVA in molti paesi tende a definire un “servizio” in modo negativo come “tutto ciò che non è altrimenti definita”, o per definire una “prestazione di servizi” come qualsiasi cosa sia diversa da una “cessione di bene”. Mentre questo, in genere, include anche un riferimento a beni immateriali, alcune giurisdizioni considerano i beni immateriali come una categoria a parte. Ai fini di questa sezione i riferimenti ai “servizi” includono anche gli “intangibili” se non indicato diversamente in modo esplicito.[7]
58. Una vasta gamma di “indicatori di prossimità” può essere utilizzata dai sistemi IVA per identificare il luogo di tassazione dei servizi, tra cui il luogo di esecuzione del servizio, il luogo di stabilimento o posizione attuale del fornitore, la residenza o la posizione attuale del consumatore, e la posizione di un bene materiale (per i servizi connessi con i beni materiali, come ad esempio i servizi di riparazione). Molti sistemi utilizzano più “indicatori di prossimità” prima che il luogo di tassazione sia finalmente determinata e possono utilizzare regole diverse per forniture in entrata, in uscita, interamente estere, e del tutto interne (Cockfield e altri, 2013).
59. L’applicazione di questi principi per individuare il luogo di tassazione è diventato sempre più difficile in quanto i volumi di servizi transfrontalieri sono in crescita. I sistemi IVA hanno notevoli difficoltà per determinare dove può essere considerato che i servizi siano consumati, a monitorare questi consumi e garantire la riscossione dell’imposta, in particolare quando le imprese vendono servizi in giurisdizioni in cui essi non hanno una presenza fisica. In pratica, in linea di massima, si distinguono due approcci per l’applicazione dell’IVA alle prestazioni transfrontaliere di servizi (Ebrill e altri, 2001):
- un primo approccio si concentra sulla giurisdizione in cui il cliente è residente (o localizzato, o situato). In base a questo approccio, quando il cliente è residente in una giurisdizione diversa dal fornitore, la fornitura è esente da IVA (ad “aliquota zero”) nella giurisdizione del fornitore ed è soggetta ad IVA nella giurisdizione del cliente. In linea di principio, il fornitore deve registrarsi nella giurisdizione del cliente e riscuotere e versare la tassa in quella giurisdizione. In pratica, quando il cliente è un soggetto passivo IVA, l’IVA è spesso riscossa attraverso un meccanismo di “reverse charge” (o “inversione contabile”). Questo meccanismo fiscale fa ricadere l’obbligo di versare l’imposta sul cliente anziché sul fornitore. L’impresa cliente sarà generalmente in grado di detrarre l’imposta a monte sul servizio acquisito immediatamente dall’imposta a valle. Alcuni sistemi IVA, tuttavia, non richiedono di effettuare l’inversione contabile se il cliente ha diritto a detrarre completamente l’imposta a monte sull’acquisto.
- a norma del secondo approccio, la fornitura del servizio è soggetta ad IVA nella giurisdizione in cui il fornitore è residente (o localizzato, o situato). Le forniture di servizi sono quindi soggetti ad IVA nella giurisdizione del fornitore, anche quando sono eseguite all’estero o forniti a clienti stranieri. I clienti che sono soggetti passivi IVA sono generalmente in grado di richiedere il rimborso dell’IVA pagata per l’imposta a monte assolta sugli acquisti da un fornitore estero, da parte delle autorità fiscali di quella giurisdizione.
60. Per le forniture B2B, entrambi gli approcci hanno in definitiva lo stesso effetto, in quanto il servizio “esportato” non è gravato da qualsiasi onere IVA nel paese di origine ed è soggetto ad IVA nella giurisdizione in cui il servizio è ritenuto essere utilizzato dal cliente. Il primo approccio, che identifica il luogo di tassazione in funzione della posizione del cliente, è raccomandato come la regola principale per l’applicazione dell’IVA alle forniture di servizi B2B dalle “International VAT/GST Guidelines” (OECD, 2014) dell’OCSE. E’ stato anche l’approccio raccomandato per “le prestazioni transfrontaliere di servizi e beni immateriali che sono in grado di essere consegnati da una posizione remota” nelle “E-commerce Guidelines” (OECD, 2003a) del 2003. Uno dei principali vantaggi di questo approccio è che evita la necessità di rimborsi transfrontalieri dell’IVA per le imprese che hanno acquisito servizi all’estero, che spesso comportano notevoli adempimenti amministrativi per le imprese e costi per le amministrazioni fiscali. In pratica, tuttavia, molti sistemi IVA applicano il secondo approccio, ossia la tassazione dei servizi con riferimento alla posizione del il fornitore, principalmente per ridurre al minimo il rischio di frodi attraverso forniture di servizi esportati, che sono tipicamente difficili da verificare.
61. Mentre entrambi gli approcci portano a un risultato che è coerente con il principio di destinazione in un contesto B2B, la situazione è più complicata per il forniture B2C. L’attuazione del principio della destinazione (“aliquota zero”) a forniture di servizi transfrontaliere a consumatori finali non residenti fa affidamento sull’autovalutazione da parte del consumatore nella sua giurisdizione di residenza, che in pratica risulterebbe in una diffusa non imposizione di queste forniture. Mentre i metodi di inversione contabile funzionano relativamente bene in un contesto B2B, sono generalmente visti come inefficaci per le forniture B2C. Un tale metodo richiederebbe ai consumatori finali di auto-valutare il proprio debito IVA sui servizi acquistati all’estero, per esempio attraverso i loro redditi ai fini delle imposte dirette. Il livello di adempimento spontaneo che ci si può aspettare è relativamente basso, in quanto i consumatori privati non hanno alcun incentivo a dichiarare volontariamente e pagare l’imposta dovuta, a differenza dei soggetti passivi che possono detrarre l’imposta a monte pagata dall’imposta a valle dovuta (Lamensch, 2012). La riscossione di questa IVA, che in molti casi può essere di piccole quantità da un gran numero di persone rischia di comportare notevoli complessità e l’aggravio di costi per i contribuenti e le autorità fiscali.
62. Nella maggior parte dei sistemi IVA, pertanto, l’imposta sulle forniture di servizi ai consumatori privati nel viene applicata nella giurisdizione in cui il fornitore è residente (o localizzato, o situato). Molte giurisdizioni che applicano l’“aliquota zero” alle forniture transfrontaliere di servizi a clienti non residenti, limitano l’applicazione di questo regime alle forniture B2B, in particolare mediante l’applicazione solo per i servizi che sono in genere forniti alle imprese (pubblicità, consulenza, etc.). Le forniture a consumatori privati stranieri sono quindi soggette ad IVA nella giurisdizione del fornitore mentre i servizi acquistati dall’estero da parte dei consumatori finali residenti non sono soggetti ad IVA nella giurisdizione del consumatore. Mentre questo approccio, che si traduce in modo efficace nella tassazione all’origine, è probabile che sia meno vulnerabile alla frode, essa può costituire un incentivo per i fornitori di deviare le loro attività in giurisdizioni senza IVA o dove viene applicata un’aliquota bassa e di vendere servizi a distanza sui mercati esteri che non adottano sistemi IVA o con aliquote molto basse. Questa potenziale distorsione e le perdite di gettito connesse diventano sempre più significative in quanto i volumi di prestazioni transfrontaliere di servizi continuano a crescere.
63. Sempre più giurisdizioni, pertanto, stanno considerando modalità di implementazione di un approccio basato sul principio della destinazione sia per i rapporti B2B che B2C di prestazioni transfrontaliere di servizi, basandosi quindi su un sistema che richiederebbe ai fornitori di riscuotere e versare l’imposta in linea con quanto raccomandato dalle “E-commerce Guidelines” (OECD, 2003a). Dato che i metodi di autovalutazione è improbabile che possano offrire una soluzione efficace per la riscossione dell’imposta a destinazione in un contesto B2C, un sistema che richieda ai fornitori di riscuotere e versare l’imposta può apparire l’unica alternativa realistica. Questa era, in particolare, la conclusione della “Consumption Tax Guidance Series” dell’OCSE, che ha fornito orientamenti per l’attuazione delle “E-commerce Guidelines” (OCSE, 2003b-c-d). Queste linee guida hanno concluso che i paesi possono prendere in considerazione la necessità per i fornitori non residenti di registrarsi e pagare le imposte nella giurisdizione del consumo, e ha raccomandato l’uso di regimi di registrazione semplificati e soglie di registrazione per ridurre al minimo i potenziali oneri di adempimento. L’applicazione più importante di un approccio basato sulla destinazione per la tassazione di forniture B2C transfrontaliere di servizi basata su un sistema di registrazione semplificato per i fornitori non residenti, è lo schema “One Stop Shop” dell’Unione europea.
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Note
[1] Questo approccio globale è generalmente coordinato con specifici regimi fiscali applicabili a tipologie di reddito derivanti da specifiche tipologie di beni (ad esempio quote di partecipazione, brevetti e marchi).
[2] E’ da notare che, al momento, lo studio è stato eseguito sulla maggior parte dei paesi industrializzati che non avevano ancora introdotto nella loro legislazione interna di un moderno sistema di imposta sul reddito d’impresa integrata con imposte sul reddito personale.
[3] I redditi professionali sono stati considerati separatamente, a meno che l’attività in questione dia luogo a una filiale in un altro paese, nel qual caso l’occupazione diventa un’impresa commerciale e, secondo l’economista, dovrebbe rientrare nella stessa regola di allocazione di altre imprese.
[4] Gli argomenti predominanti che avevano indotto gli economisti a raggiungere questa conclusione (vale a dire la tassazione esclusiva nel paese di residenza) furono la convenienza e la praticabilità.
[5] Commentario OCSE all’Art. 7, par. 11; si veda inoltre il Commentario OCSE all’Art. 5, par. 42.11, con riferimento alle attività di servizi.
[6] Queste limitazioni alla WT alla fonte generalmente non si applicano, tuttavia, all’eccessiva pagamento di interessi o royalties verso parti correlate. Ad esempio, il paragrafo 6 dell’articolo 11 del modello di convenzione OCSE prevede che, se v’è una relazione speciale tra il debitore e il destinatario a seguito della quale l’interesse è superiore a quello che avrebbero concordato in assenza di un tale rapporto, la parte eccedente rimane assoggettata alle leggi sia dello stato della fonte sia dello Stato di residenza. Norme analoghe si applicano nei confronti delle royalties eccessive di cui al comma 4 dell’articolo 12 del modello di convenzione dell’OCSE.
[7] Molti sistemi IVA definiscono un “servizio” negativamente come “tutto ciò che non è altrimenti definito”, o una “prestazione di servizi” come qualcosa di diverso da una “cessione di bene”. Anche se questi, in genere, si riferiscono anche ai beni immateriali, alcune giurisdizioni considerano beni immateriali come una categoria a parte, e questo è esplicitamente riconosciuta in questa relazione, se del caso. Va notato che il termine “intangibile” utilizzato in relazione ai prezzi di trasferimento ai fini delle imposte dirette ha un significato diverso rispetto a quello utilizzato in alcune legislazioni IVA.